La Centrale di Santa Caterina e suoi fumi

Le Centrali elettriche in periodo prebellico (Santa Caterina di S. Giovanni Suergiu)

 

Visto che si parla tanto di fumi ed inquinamento parliamo dei fumi della Centrale di Santa Caterina. Come già detto si trattava di un impianto all’avanguardia per quei tempi, che utilizzava il carbone  polverizzato proveniente dalla vicina miniera di Serbariu (Carbonia). I camini della Centrale erano bassi, siamo in guerra, e forse era per ragioni di sicurezza. Naturalmente non vi erano i filtri  per l’abbattimento  dei fumi e dei gas. Bisogna anche ricordare che in quel periodo c’erano solo tre centrali a carbone:  S. Caterina, Santa Gilla e Portovesme e quindi l’inquinamento era abbastanza trascurabile.  Ad immettere fumi tossici ci pensavano le industrie chimiche. Il fumo che fuoriusciva dai camini lo chiamavamo polverino perché si trattava di un incombusto piuttosto pesante, che non andava molto lontano, infatti nei primi tempi ossia fino agli anni 50, a seconda del vento che tirava ci cadeva addosso e ricopriva tutto di nero, ma contenendo anche una certa quantità di zolfo ci rimaneva in gola ad ogni respiro. Questo polverino faceva parte del nostro ambiente, tra la foresteria e la centrale vi era una spiazzo dove crescevano enormi piante di agave e a Santa Caterina c’erano tante, ma c’era anche uno strato di polverino alto almeno trenta centimetri, a noi ragazzini piaceva camminarci in mezzo sembrava sabbia magari di color plumbeo e un po’ più sottile.

Anche nel canale, che per noi era una bellissima spiaggia, nel fondo c’era polverino ma cresceva un’alga, la posidonia,  si pescava del pesce buonissimo. Raccoglievamo anche tante arselle bianche piccoline e arselle nere, certamente le  si dovevano lasciare almeno un giorno in acqua e sale perché si ripulissero oppure le mangiavamo, crude  appena pescate e risciacquate in mare. Quando volevamo portare a casa qualcosa di diverso  andavamo verso S. Antioco via mare fino a quando incontravamo delle secche ricche di muscoli (una varietà di mitili). Noi giocavamo con quello che chiamavamo fango ma che in realtà era polvere di carbone forse mista a sabbia e devo dire che mai nessuno di noi si è ammalato anzi se durante l’estate prendevamo un raffreddore con un bel tuffo nel canale si guariva subito. Mi vien da pensare che fossero dei fanghi termali e così li consideravamo. Fino al 1950 il polverino, essendo i camini bassi, cadeva in  tutta la zona circostante, era molto ricco di zolfo, anzi si diceva che durante la guerra venisse usato come antiparassitario per le viti. Certo è che i nostri orti erano produttivi cosi pure i piccoli vigneti e le piante da frutto non c’erano parassiti e noi ci limitavamo soltanto ad innaffiare con l’acqua dei pozzi  per cui si può dedurre che il terreno era fertile tanto che Santa Caterina con gli anni diventò un giardino con tanto verde e tanti fiori. Essendo poi il maestrale vento predominante, questi portava il fumo della Centrale, il polverino, nello stagno di Palmas quindi in mare aperto , disperdendone la concentrazione. Oltre le fasce forestali proprio nella zona antistante  la centrale, dopo la bonifica del territorio per debellare la malaria, vi erano delle case coloniche (credo  dell’ETFAS) e le famiglie che le abitavano possedevano qualche mucca, ma vivevano praticamente in povertà, le zone sembravano del tutto improduttive. A metà degli anni 50 vennero date in affitto a delle famiglie provenienti  dal Veneto, e con il loro lavoro resero quella terra produttiva al massimo. Andammo a visitarle vi erano orti, campi di erba medica per il bestiame e addirittura delle risaie. Acquistammo verdure varie e parlando con queste persone il loro commento fu che la terra e il clima potevano permettere anche due raccolti all’anno. Certo che queste persone lavorarono sodo e dopo qualche anno misero da parte i soldi con quali rientrarono al loro paese ed impiantare là la loro azienda. Ormai tutta la zona è in completo abbandono e mi è stato riferito che però i canali di irrigazione sono ancora funzionanti.

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