Nasce la Centrale di Santa Caterina Autarchia in atto

Subtitle: Nasce la Centrale di Santa Caterina Autarchia in atto.

Siamo nell’anno 1939 l’allora Ministro dei Lavori Pubblici scriveva: “…Occorre riconoscere che l’industria elettrica è stata pari dei compiti affidatile.”

La centrale di Santa Caterina era uno dei nuovi impianti di produzione e trasporto della Società Elettrica Sarda.

I nuovi impianti della Società erano stati progettati per far fronte alle necessità elettriche dell’isola ma rappresentavano anche la prima fase dei programmi autarchici.

Si programmò una Centrale termica che avesse una potenza di 50.000 kVA destinata solo all’uso del combustibile sardo ed aumentare la disponibilità elettrica a circa 250 milioni di kWh all’anno.

Per il trasporto dell’energia era prevista una linea di 70 kV di circa 60 km con due sottostazioni, una a Carbonia per alimentare le miniere l’altra a Villasor per collegare la nuova linea a quelle provenienti dalle centrali idroelettriche del Tirso e del Coghinas e dalla Centrale di Santa Gilla.

Gallery: Centrale di Santa Caterina Autarchia in atto

La Centrale di Santa Caterina, la cui costruzione fu affidata alla ditta Ferrobeton, iniziò nell’estate del 1937 e sarebbe stata completata nei due anni seguenti esattamente il 28 0ttobre del 1939, data in cui avvenne la sua inaugurazione, mentre le sottostazioni e la linea erano già in funzione nel 1938. Questa Centrale era la prima costruita in Italia per utilizzare il combustibile sardo (proveniente dalla miniera di Bacu Abis) polverizzato e con macchinari quasi tutti di produzione nazionale.

Come già detto a proposito della messa in funzione della Centrale di Santa Gilla, la Società Elettrica Sarda aveva acquisito esperienza nell’uso di questo carbone che utilizzava in modo continuativo nelle sue centrali anche quando la convenienza sembrava discutibile dato il basso costo e il maggior rendimento dei combustibili esteri. La miniera di Bacu Abis riuscì a superare i momenti di grave crisi economica grazie alla Società Elettrica Sarda che allora era la più importante o forse l’unica cliente.

Nel dicembre del 1938 in occasione dell’inaugurazione della città di Carbonia il Duce visitò la costruenda Centrale compiacendosi dell’andamento dei lavori.

Si doveva per primo scegliere la zona dove sarebbe dovuta sorgere la nuova centrale e questa doveva rispondere a vari requisiti ossia: essere vicino al mare per poter prelevare e restituire l’acqua necessaria al suo funzionamento, essere in una zona ove si sarebbe dovuto verificare il maggior consumo di energia, essere vicino alle miniere in modo da ridurre al minimo i costi per il trasporto, infine poter utilizzare gli stessi mezzi di trasporto del combustibile dalla miniera al porto carbonifero di S. Antioco.

La località rispondente a questi requisiti fu individuata in agro di Palmas Suergiu (l’odierna S. Giovanni Suergiu) una zona veramente desolata, dove regnava incontrastata la malaria comunque in un’area di 12 ettari si iniziarono i lavori.

Come nasce la Centrale?

Si iniziò con le fondazioni cosa molto importante per il carico che dovevano sostenere. Si iniziarono trivellazioni che si spinsero fino a 15 metri di profondità e rivelarono un terreno formato da strati di argilla e sabbia molto irregolari per spessore e consistenza che non davano affidamento per i sovraccarichi previsti. Si optò per pali particolari adatti per terreni a stratificazioni variabili. Le teste dei pali di fondazione vennero riuniti in un plinto e i plinti vennero collegati con una piattaforma di ripartizione in quota da servire anche come fondazione dei muri perimetrali.

Schemi costruttivi della Centrale di Santa Caterina

Per curiosità riporterò lo schema della pianta di palificazione. Certo che la struttura portante era veramente ben studiata visto che la Centrale dopo ottantadue anni è ancora in piedi nonostante essere passata attraverso una guerra e diversi bombardamenti e oramai spogliata di tutti i macchinari del peso di varie tonnellate Su queste solide fondamenta venne costruito l’edificio che era costituito da quattro corpi di fabbrica. Un corpo di fabbrica per i generatori a vapore era stato studiato in particolare per facilitare l’accesso alle manovre e perché questa struttura doveva sopportare un peso di 18 ton più il peso dei silos per ogni unità. I corpi di fabbrica dei distillatori e dei turboalternatori la cui copertura era costituita da capriate in cemento armato (ancora visibile in ciò che è rimasto di questa meraviglia dell’ingegneria). Infine il corpo di fabbrica dei quadri era costituito a pianterreno per le apparecchiature elettriche e di un primo piano per i banchi di manovra e per gli uffici.

Nella nuova centrale vennero quindi installate quattro unità principali ognuna delle quali autonoma fornita di tutti i servizi ad eccezione di quello del trasporto del carbone, anche se ciascuna unità era servita da un proprio silos della capacità di 250 ton sufficiente per il funzionamento a pieno carico per un giorno. Questa Centrale doveva essere alimentata col carbone Sulcis polverizzato per cui i generatori di vapore erano stati dimensionati per poter utilizzare combustibile scadente (con potere calorico inferiore a 4000 cal. ed umidità massima del 10%) e con alcune modifiche avrebbe potuto bruciare anche il semi-coke ed altri prodotti, per questo motivo vennero scelti i generatori a polverizzato invece che griglia (come a Santa Gilla)

Questa fu il primo impianto in Italia ad utilizzare il polverizzato e su questo vorrei soffermarmi. Essendo facile l’approvvigionamento giornaliero del carbone tramite carri ferroviari non si costruì un deposito. I vagoni arrivati a S. Caterina scaricavano direttamente il carbone in due tramogge da cui mediante un trasportatore inclinato veniva convogliato in due frantoi che ne riducevano la pezzatura e successivamente veniva scaricato per gravità alla base di due elevatori verticali a tazze che trasportavano il carbone al piano di caricamento dei silos dove un nastro trasportatore trasferiva il carbone nei silos stessi. All’uscita dai silos veniva pesato e opportuni dosatori ne regolavano l’immissione nei sottostanti mulini. Il carbone dopo la macinazione veniva sottoposto ad essicazione ed infine doveva attraversare due setacci per la finezza della polvere. Ovviamente il processo era molto più complesso di quanto descritto. A questo punto il combustibile era pronto per essere utilizzato nelle caldaie. Erano stati installati quattro generatori di vapore prodotti dalla Ditta Gefia del tipo ad irradiazione totale e con passaggio di gas verso l’alto, capaci di produrre 50 ton/h di vapore.

Gallery 1: Centrale di Santa Caterina Autarchia in atto

Il protocollo per la messa in funzione e conduzione di queste caldaie prevedeva ben trentasette operazioni da eseguirsi in sequenza. Le scorie venivano scaricate direttamente dalla camera di combustione in un canale e convogliate in due vasche esterne da cui venivano prelevate e inviate in un deposito esterno in riva al mare.

Passiamo all’impianto di distillazione e degassazione. In questo settore l’acqua marina veniva prima trattata con carbonato di soda e depurata e immessa nel distillatore da qui miscelata con l’acqua proveniente da condensatori veniva preriscaldata e rinviata in caldaia. L’alimentazione dell’acqua delle caldaie era garantita per ciascuna unità da due elettropompe.

Arriviamo alla sala macchine dove inizialmente vennero installati due turbo-alternatori da 12.500 kVA e uno da 1.500 kVA per i servizi ausiliari. Successivamente furono installati quattro turbo-alternatori più uno per i servizi ausiliari della potenza complessiva di 40.320 kW.

L’apparecchiatura elettrica a 5 e 70 KV venne installata nell’apposito fabbricato quadri dove avveniva il controllo di tutta l’apparecchiatura elettrica e controllo combustione mediante i quadri di manovra.

Per comunicare con il personale si installò un telefono ad altoparlanti, questi erano sedici ossia quattro per ogni unità ed essendo in parallelo fra loro il comando veniva ascoltato da tutto il personale.

L’apparecchiatura elettrica a 70 kV venne sistemata all’aperto sostenuta da un’apposita incastellatura di cemento armato (ecco perché veniva chiamato castelletto) e constava di tre trasformatori da 5/70 kV.

Gallery 2: Centrale di Santa Caterina Autarchia in atto

Poiché il fondale nei pressi della centrale era basso si procedette al dragaggio del canale per una profondità media di circa due metri e contenuto con delle scogliere di pietrame. All’imboccatura del canale fu costruita l’opera di presa con l’installazione di due ordini di griglie rotanti, l’acqua, cosi filtrata dalle alghe, entrava in una grande vasca e da qui entrava in un canale coperto all’interno della centrale in apposite vasche nelle quali vi erano installate pompe di circolazione dei condensatori. L’acqua di scarico una parte veniva utilizzata per l’eliminazione delle scorie il resto defluiva in un canale all’aperto che passando sotto la provinciale per S. Antioco finiva nello stagno di Santa Caterina.

Nelle adiacenze della Centrale furono costruiti tre fabbricati per uso abitazione per il personale strettamente necessario alla centrale (capo macchine, capo caldaie e sottocapo centrale), per la Direzione e foresteria e per il capo centrale, il resto del personale proveniva da Palmas Suergiu, Sant’Antioco e località vicine. Si costruì una linea a 70 kV di circa 60 km. Al decimo km arrivava alla cabina di trasformazione della Società Carbonifera Sarda (gruppo A.Ca.I.) destinata al nuovo centro carbonifero di Carbonia per proseguire fino alla sottostazione di Villasor.

Fonte documentale dalla rivista “Energia Elettrica 1939”. Fonti fotografiche da rivista e da collezione personale.

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