Le Centrali Termoelettriche SES Carbosulcis

Gli impianti della Società Elettrica Sarda

Anche se un po’ noiose  facciamo il punto della situazione degli impianti della Società Elettrica Sarda nel 1949. le centrali di produzione erano otto di cui sei idroelettriche e due termoelettriche nel 1961 entra in funzione la centrale idroelettrica del Taloro. Da questo prospetto  si evince che la Società cercava laddove era possibile di costruire centrali idroelettriche piuttosto che termo elettriche, anche se queste erano necessarie per sopperire ai periodi di siccità e soprattutto durante i mesi estivi quando le precipitazioni erano scarse o assenti.  Questo punto voglio parlare delle centrali termoelettriche e delle difficoltà che incontrarono per l’utilizzo del carbone Sulcis e nei dati riportati fino all’anno 1949  la produzione termoelettrica si effettuava solo con tale carbone. I primi esperimenti per il suo utilizzo non furono molto incoraggianti dato l’alto tasso di zolfo e sostanze volatili e delle scorie. L’alta percentuale di zolfo  provocava corrosioni ma poi con gli studi e la progettazione termica si arrivò a livelli tollerabili di esercizio anche se si aumentavano i costi di manutenzione. Si fecero molti studi  e laboriosi accorgimenti che l’esperienza di Portovesme prima e di Santa Gilla poi e nel decennio  dal 1924 al 1933 si riuscì a garantire una normalità di esercizio e una sufficienza di rendimenti. La centrale di Portovesme fu ceduta nel 1927 alla Società Monteponi, mentre Santa Gilla  come già detto era un impianto situato in riva allo stagno omonimo alla periferia di Cagliari, costituita da un unico fabbricato comprendente sala caldaie, sala distillatori, sala macchine e sala quadri mentre i trasformatori da 5/70 KV erano all’aperto. L’acqua di alimentazione delle caldaie proveniva dalla distillazione dell’acqua di mare.

Le Centrali Termoelettriche SES Carbosulcis (Società Elettrica Sarda) – foto Gallery

 

Le Centrali Termoelettriche S.E.S Carbosulcis – caratteristiche del carbone sardo

Intanto il carbone sardo estratto dalla miniera di Bacu Abis era scarso e poco commerciabile. Quando però il bacino carbonifero si affermò con l’apertura di nuove miniere la costruzione del Porto di S. Antioco e vari impianti e servizi la Società Carbonifera Sarda invitò la S.E.S. a completare l’attrezzatura del Sulcis con una Centrale a bocca di miniera per poter utilizzare il polverizzato ovvero un combustibile scadente. Questa Centrale fu Santa Caterina, primo impianto a polverizzato Sulcis in Italia che applicò e perfezionò le nuove tecniche . La Centrale termica di Santa Caterina sorgeva ( adesso sono visibili soltanto i ruderi) in comune di Palmas Suergiu,  l’attuale San Giovanni  Suergiu, nei pressi del porto carbonifero di S. Antioco,  in riva al mare, dove prelevava l’acqua per il suo funzionamento. Il fabbricato era costituito da quattro corpi che accoglievano i generatori di vapore, i distillatori e le pompe di alimento, i turboalternatori e i quadri a 5KV. Ciascuna unità era completamente autonoma cioè fornita di tutti i servizi ad eccezione di quello per il trasporto del carbone che era comune , anche se ogni caldaia era servita da un proprio silos. Le apparecchiature elettriche a 70 KV compresi i tre trasformatori  5/70 KV erano sistemati all’aperto. Nel 1950 la Centrale fu potenziata con la costruzione di un quinto gruppo che utilizzava nafta come combustibile.  Come più volte detto, nel  1939 entrò in funzione Santa Caterina dove si volle sperimentare il carbone Sulcis in moderne caldaie a polverizzato, ma anche questo esperimento non fu esente da molte difficoltà perché le corrosioni, sempre a causa dell’alto contenuto in  zolfo del carbone, si manifestavano nelle zone più fredde del generatore e questi problemi erano tecnicamente difficili da risolvere comportando frequenti e onerosi ricambi anche se si cercò di ovviare con l’utilizzo di materiali più resistenti.  A tal proposito si racconta che il primo Capo Centrale di Santa Caterina dopo due anni di servizio nel momento in cui fu inviato un sostituto fu ben felice di consegnare le “chiavi” e lasciarsi dietro tutte le difficoltà. Il nuovo Capo Centrale che avrebbe dovuto trattenersi  fino alla messa a punto della centrale in realtà vi rimase per circa vent’anni e nel suo studio, in centrale, conservava in un grande armadio i pezzi corrosi e rotti. Dopo circa vent’anni fu trasferito alla sottostazione di Villasor dove praticamente sviluppò  dal nulla il centro di ripartizione del carico. Fu ancora lui che con grande dispiacere, come capo della ripartizione, nell’ultimo giorno di esercizio ordinò la fermata definitiva dell’impianto.

La crisi Energetica del 1961 in Sardegna a causa degli errori delle scelte politiche

Intorno alla metà degli anni ’50  essendo entrata in crisi la vendita e l’esportazione del carbone Sulcis la Regione Sardegna istituì un Gruppo elettrico,  Società Termoelettrica Sarda e decise la costruzione di una centrale termoelettrica a Portovesme onde poter utilizzare il carbone che afferiva alla centrale direttamente dalle miniere mediante una teleferica. Ovviamente  si stabilì una convenzione che regolava i rapporti con la S.E.S. ma nel 1961 il Gruppo Regionale disdisse detta convenzione.  La S.E.S. prese immediatamente gli opportuni provvedimenti atti a garantire il funzionamento autonomo degli impianti e regolare il servizio nei confronti dell’utenza. Così non fu per Gruppo Regionale  perché una volta avvenuto il distacco della centrale di Portovesme dal parallelo degli impianti dell’Elettrica Sarda, il Gruppo non fu in grado di alimentare buona parte dei propri utenti  e quindi dovette chiedere l’intervento della Società. L’intervento fu subito accordato con soddisfazione della S.E.S. che riallacciava i rapporti col Gruppo elettrico regionale su un piano di collaborazione tecnica e per la salvaguardia degli interessi sociali.

Fonte documentale e fotografica da “Mezzo secolo della S.E.S”

vedi anche: Centrale termoelettrica Santa Caterina sua dismissione

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